domenica 2 marzo 2025

 


Tra i molteplici personaggi rappresentativi del XX secolo, Einstein e Padre Pio hanno svolto un ruolo del tutto particolare, anche se espresso negli ambiti diversi della scienza umana e della sapienza divina. Non sarebbe nemmeno possibile un raffronto fra essi, vista la disparità delle categorie in gioco. La scienza moderna infatti non serve ad acquisire il lumen gloriae, «che è un’emanazione della potenza di Dio» (Sap 7, 25) e che pertanto costituisce un dono gratuito della grazia divina.

 

È molto probabile, senza offesa per il Santo, che Padre Pio ignorasse del tutto la teoria di Einstein sullo spazio-tempo e le “delizie” relative al tensore di Riemann-Christoffel. Eppure, egli era in grado di svolazzare a piacere nel “cronotopo” di Minkowski, faticosamente indagato da Einstein, pur restando rinchiuso nella sua cella in Monte Rotondo. Egli stesso confidò: «La notte vado sempre girando. Non c’è bisogno dell’obbedienza dei superiori» (in G. Martinetti, Le prove dell’aldilà, Rizzoli, Milano 1990, p. 121), alludendo alle sue esperienze sulla bilocazione.

 

I viaggi di padre Pio erano istantanei, non avevano durata e gli consentivano di trovarsi “contemporaneamente” in luoghi molti distanti, violando il secondo principio della relatività. Il Santo si presentava con un corpo del tutto simile a quello rimasto nel convento del Gargano. Conversava, pregava, o assisteva silenziosamente l’interlocutore, manifestando talora la sua “visita” con il famoso effluvio di profumo. Libri e libri di testimonianze raccolte in proposito.

 

Benché attestati da molti Santi venerati dalla Chiesa, la scienza nutre una sorta di timore per i fenomeni mistici che la contraddicono palesemente. Li stigmatizza, relegandoli direttamente nell’ambito della superstizione, senza indagarli per timore di essere smentita. Tutti i Santi dotati di doni ascetici dimostrano invece la realtà effettiva del fenomeno della bilocazione. Avvenimento che non consiste nel vedere qualcosa a distanza come nell’evanescenza di un sogno o come un film proiettato su uno schermo lontano. Ma nell’immergersi concretamente nelle coordinate reali del luogo visitato, ben sapendo che il corpo materiale è rimasto altrove.

 

Sono molteplici i Santi e Beati che hanno sperimentato già in vita la realtà di quel «corpo celeste» nel quale, in virtù del potere redentivo di Cristo «tutti saremo trasformati» (1 Cor 15, 49-51). Secondo san Tommaso, questo nuovo corpo non si corrompe, non invecchia, non soffre. È agile e può spostarsi nello spazio in moto rapidissimo. È dotato di sensi superiori. È luminoso, leggero e sottile, del tutto soggetto alla volontà. È in grado di attraversare la materia solida. Può apparire e scomparire a piacimento. Conserva per sempre l’età di circa trent’anni, non è soggetto a bisogni fisici di alcun tipo, né tantomeno ad appetiti o istinti di vario genere (cfr. S. Th. Suppl. 82, 1, 6 e sgg).

 

I mistici che hanno sondato misteriosamente la realtà divina, più che da una grande cultura o genialità intellettuale, sono accomunati da una fondamentale caratteristica evangelica: la semplicità di cuore, molto cara a Gesù. Che infatti esclamò: «Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli …» (Mt 11, 25). E sulla stessa linea san Paolo aggiunse che: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti … perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).

 

Per questa predilezione divina, e non per le loro doti intellettuali, padre Pio, don Bosco e molti altri sono stati in grado di superare le più inflessibili leggi della natura, pur senza conoscerle, sperimentando che davvero: «La sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa» (Sap 7, 24). D’altra parte, all’ignoranza dei Beati circa la scienza moderna, corrisponde quella degli scienziati riguardo alla religione cattolica e alla realtà trascendente. Sant’Agostino già ai suoi tempi annotava in proposito che: «Le divine Scritture insegnano a evitare e irridere non tutti i filosofi, ma i filosofi di questo mondo. C’è infatti un altro mondo, lontanissimo da questi occhi, che l’intelletto di pochi sani riesce a vedere, come afferma lo stesso Cristo, che non dice: Il mio Regno non è del mondo, ma: Il mio Regno non è di questo mondo» (De ordine, 11, 32).

 

Sta di fatto che il grande Einstein non riuscì a percepire minimamente la presenza di questa dimensione eterna e perfetta, semplicemente perché non credeva che la fede cristiana possa arricchire enormemente la ragione, senza mortificarla. Questa sua chiusura verso la trascendenza ha reso la sua dottrina scientifica un riflesso del suo panteismo cosmico all’interno del quale egli restò relegato. E nel quale relegò e relega ancora i suoi epigoni di ogni livello.

 

Egli non entrò in “contatto” con la dimensione divina e con il Dio, Uno e Trino, nel quale ribadì più volte di non credere. Ebbe forse altri tipi di “contatti”. Upton Sinclair riferisce infatti che Einstein partecipò ad una seduta spiritica, durante la quale riuscì in assenza del medium a far sollevare un tavolino, dimostrando così di possedere le facoltà tipiche dei medium (L. Talamonti, Universo proibito, Mondadori, Milano 1971, p. 285).

 

Sembra proprio allora che, più delle equazioni e del raffinato calcolo tensoriale utilizzato da Einstein, siano necessarie ed efficaci per penetrare i segreti della natura le tradizionali pratiche di pietà (santa Messa, Sacramenti, Rosario), tanto raccomandate dalla Chiesa e da tutti gli Eletti, ma del tutto estranee ai protocolli della scienza induttiva.

 

Galilei, citando il cardinal Baronio, affermò che la Sacra Scrittura, ispirata dallo Spirito Santo, servirebbe unicamente per farci andare in cielo, ma non per dirci come va il cielo. Di riflesso, la scienza umana che ci direbbe come va il cielo, non serve tuttavia per farci entrare. E quindi è del tutto inutile per la salvezza delle anime.

 


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